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Intellettuali e potere: inquadramento del percorso

14 ottobre 2008 | V A linguistico 2008

Per inquadrare il discorso su "intellettuali e potere nella Roma imperiale" ci servono alcuni riferimenti alle età arcaica e repubblicana, e cenni generali sul rapporto tra otium e negotium. Quanto segue proviene, con brutali adattamenti, da Paolo Di Sacco – Mauro Serio, Il mondo latino. Questioni percorsi strumenti, Bruno Mondadori, 2000, pp. 72-74 ss.; e da altri volumi di questo Mondo latino, manuale molto ben fatto, ho cannibalizzato altri materiali che useremo durante l’anno. Spero che le nobili esigenze didattiche giustifichino quest’appropriazione indebita. Per chi volesse approfondire suggerisco un altro volumetto tematico: Ivano Berselli – Paola Lerza – Gemma Tardivelli (a cura di), Intellettuali e potere nei primi secoli dell’impero, Petrini, 2006; fa parte di un "corso di letteratura integrato" chiamato Progetto Chorus, ma è acquistabile separatamente (circa 9 €, ISBN 8849410867).

L’arte a Roma: otium o negotium? In questo percorso seguiremo lo sviluppo dei rapporti – ora pacifici, ora conflittuali – che a Roma intercorsero fra intellettuali e letterati e potere politico. Un aspetto caratteristico della letteratura latina, che la differenzia profondamente da quella greca, è il suo legame con i negotia, cioè con le attività effettivamente utili allo stato o alla comunità. L’arte in generale e la letteratura in particolare a Roma non godono, specialmente nei primi secoli, di grande riconoscimento sociale, a meno che non si rassegnino a svolgere una funzione strumentale. Come espressione dell’otium individuale, infatti, l’opera d’arte non gode di particolare considerazione né il suo autore di prestigio, in una società fortemente orientata ai negotia politico-militari come era quella romana. Ciò significa che solo nella misura in cui sa porsi essa stessa al servizio dei negotia l’arte può aspirare a godere di una certa stima. Lo status sociale dell’intellettuale arcaico. Nell’età arcaica, in particolare, questi aspetti appaiono assai evidenti e condizionano ampiamente la vita culturale di Roma; la figura stessa dell’intellettuale gode di uno status sociale ambiguo: si tratta sovente di liberti (come il greco Livio Andronico o l’africano Terenzio), oppure di clientes che pongono in modo evidente il proprio talento artistico al servizio del patronus (come nel caso di Nevio e di Ennio). Più rari sono i casi di membri della classe dirigente che furono in grado di dedicarsi all’arte in condizioni di piena autonomia e indipendenza, come Catone il Censore o il ricco cavaliere Lucilio: ma proprio simili personaggi dimostrano la tendenza a subordinare in modo deciso la letteratura ai negotia, dei quali essa tende a divenire strumento. L’età delle guerre civili: nuovi comportamenti e nuovi modelli. Il quadro cambia con la tarda età repubblicana, in sintonia con il mutare del contesto sociale e politico; l’età delle guerre civili offre un quadro estremamente variegato di comportamenti, che vanno dall’aristocratico isolamento di Lucrezio al rifiuto sdegnoso dei negotia, in nome di una vita consacrata all’amicitia e all’amore, da parte di Catullo (che pure era un membro della classe dirigente). Così come alla classe dirigente appartengono Sallustio, severo censore del costume degenerato dei suoi tempi, nonché Cesare e Cicerone, che utilizzano in modo esplicito la letteratura come strumento di lotta politica. Dall’età di Augusto al rinnovamento traianeo. Con il principato augusteo il rapporto fra intellettuali e potere assume un carattere decisamente verticistico: da strumento di lotta l’arte si trasforma in strumento di propaganda, in un rapporto di dipendenza che all’inizio la mediazione di Mecenate mantiene nel solco di una «sana» collaborazione ideologica, ma destinato ben presto a degenerare, non appena i rapporti fra princeps e intellettuali assumeranno un carattere più diretto e immediato. Ne pagheranno le conseguenze, già sotto Augusto, il poeta Ovidio e, sotto il successore Tiberio, lo storico Cremuzio Cordo, che inaugurerà la lunga lista di intellettuali perseguitati dal potere per le proprie idee. Nell’ambito della dinastia giulio-claudia sarà Seneca, in particolare, a tentare di elaborare un nuovo modello di intellettuale organico al potere, ma capace assieme di assolvere un delicato ruolo di «coscienza critica» del princeps. Non manca tuttavia l’esempio di posizioni rigidamente disorganiche, come quella assunta da Lucano, oppure espressioni di fatalistica rassegnazione e di conseguente distacco dalla «cosa pubblica» come ridotta, ormai, a «cosa d’altri» (è il caso del favolista Fedro). Nell’età dei Flavi si colloca Quintiliano, con il suo progetto (fortemente voluto dal princeps) di ristrutturazione complessiva dell’educazione della classe dirigente, sulla base del modello ciceroniano adattato al nuovo contesto sociale e politico. L’età di Traiano, infine, celebra il rinnovato spirito di collaborazione fra princeps e senatus, ora con i toni entusiasticamente laudativi di Plinio il Giovane, ora con i toni severi ma realistici di Tacito.

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Commento da pm
Data: 23 ottobre 2008, 09:47

Per ulteriori approfondimenti, segnalo il volumetto di Carlo Franco, Intellettuali e potere nel mondo greco e romano, Carocci, Roma, 2007 (10 €, ISBN 9788843039005).

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